Discendenti dei predoni vichinghi, che con le loro scorribande all'inizio del X secolo avevano gettato le basi del futuro ducato di Normandia, i normanni estesero il loro dominio dalla Francia settentrionale all'Inghilterra, dall'Irlanda al Mediterraneo, dalla Penisola iberica all'Anatolia bizantina. Sotto gli stendardi di condottieri feroci e ambiziosi, essi costruirono chiese e castelli, fondarono dinastie e regni vigorosi, ridisegnando ovunque le mappe del potere. Allo stesso tempo, nel corso della diaspora si integrarono rapidamente con le popolazioni locali sconfitte e sottomesse, mescolandosi al tessuto della società, adottando la lingua e la cultura delle élite, mettendo radici. Onnipresenti ed elusivi, introdussero princìpi e valori che nel corso dei secoli plasmarono il volto dell'Europa: gli ideali cavallereschi, l'architettura romanica, il cattolicesimo e la vicinanza al pontefice di Roma, come pure un nuovo atteggiamento nei confronti della legge e della giustizia.
Eppure, dopo trecento anni di vittorie e successi travolgenti, i normanni all'improvviso scomparvero, vittime probabilmente di un'identità fluida e camaleontica, di una mancanza di unità che impedì loro di sopravvivere al mondo che essi stessi avevano forgiato. Esemplare della turbolenta e tortuosa storia medievale, il racconto dell'ascesa e del declino normanno è un avvincente susseguirsi di fortune conquistate e perse, che lo storico britannico Levi Roach ripercorre in queste pagine ricostruendone al contempo la straordinaria, e spesso dimenticata, eredità. Perché «il mondo moderno sarebbe irriconoscibile, se i normanni non avessero lasciato la loro impronta».