Quelli del colera

· Independently Published · Letto da Valerio Di Stefano
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Il colèra mieteva la povera gente colla falce, a Regalbuto, a Leonforte, a San Filippo, a Centuripe, per tutto il contado - e anche dei ricchi: il parroco di Canzirrò, ch'era scappato ai primi casi, e veniva soltanto in paese per dir messa a sole alto, l'aveva pigliato nell'ostia consacrata: a don Pepè, il mercante di bestiame, gliel'aveva dato invece in una presa di tabacco, alla fiera di Muglia, un sensale forestiero - per conchiudere il negozio - diceva lui. Cose da far rizzare i capelli in testa! Avvelenata persino la fontana delle Quattro Vie; bestie e cristiani vi restavano, là! a Rosegabella, venti case, un bel giorno era capitato il merciaiuolo, di quelli che vanno in giro colle scarabattole in spalla, e quanti misero il naso fuori per vedere, tanti ne morirono, fin le galline. Ciascuno badava quindi ai casi propri, collo schioppo in mano, appiattato dietro l'uscio, accanto la siepe, bocconi nel fossatello, per le fattorie, nei casolari, da per tutto. Quelli di San Marino s'erano anche armati, uomini e donne. Volevano morir piuttosto di una schioppettata, o d'altra morte che manda Dio. Ma il colèra, no, non lo volevano!

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