La morte improvvisa dell'amatissimo padre nel giugno 2020, in piena pandemia, getta Chimamanda Ngozi Adichie in uno stato di rabbiosa prostrazione. Le consuete parole della consolazione la irritano, il formalismo dei riti la esaspera, il dolore la dilania. Ma i suoi pensieri e le sue sensazioni, l'analisi dei diversi modi di affrontare il lutto, quello nigeriano e quello occidentale, diventano occasione per una lucida e penetrante meditazione sulle cose ultime, oltre che un canto d'amore per colui che per primo le ha insegnato a non temere il giudizio degli uomini.
Cosa significa morire in tempo di pandemia? Puรฒ significare che la notizia, addirittura l'immagine di un padre senza vita, arrivi tramite una call su Zoom; se si vive in continenti diversi e il lockdown inchioda il mondo intero alla propria abitazione, puรฒ significare anche attendere spasmodicamente la riapertura degli aeroporti per poter raggiungere la cittร natia e celebrare finalmente l'indispensabile rito del funerale. La Chimamanda che apprende della morte improvvisa del padre per una malattia silente รจ la bambina inconsolabile del suo amatissimo papร , ma รจ anche la donna che vive a cavallo di due mondi, con le loro enormi differenze nell'avvicinare le fasi piรบ salienti dell'esistenza umana; รจ la scrittrice che medita sul senso dei rituali; รจ la femminista che vorrebbe sottrarre la madre a quelli piรบ umilianti, ma al contempo si rende conto del loro potere catartico. Il lutto รจ violento e fisico, รจ un ladro che strappa via i ricordi lasciando paura e furia. Eppure porta con sรฉ un monito che in qualche modo spinge avanti: ยซUna voce nuova si fa strada nella mia scrittura, carica della vicinanza che avverto con la morte, della consapevolezza capillare e acutissima della mia stessa caducitร . Un'urgenza nuova. Un senso di incombente precarietร . Devo scrivere tutto adesso, perchรฉ chissร quanto tempo mi restaยป.